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Post by Jack on May 12, 2015 19:19:42 GMT 1
Postate qui tutto ciò che concerne esplorazione spaziale, ISS, telescopi, solar flares, exoplanets, finti reality di sola andata per Marte, franky fan service, rover abbandonati, eccetera
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eglio
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Post by eglio on May 12, 2015 19:20:56 GMT 1
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Post by eglio on May 12, 2015 19:24:42 GMT 1
No piastrelle
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Post by Jack on May 12, 2015 19:27:55 GMT 1
(thread relativo rimosso)
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Post by frankytop on May 12, 2015 21:37:28 GMT 1
HL Tau nasconde davvero dei pianetiLo scatto risale all'ottobre 2014 quando l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array in Cile ha mostrato dettagli straordinari e mai visti prima nel disco protoplanetario di questo giovane sistema. Animato è sempre stato il dibattito attorno ai cerchi concentrici scuri, che nasconderebbero pianeti in via di formazioneCrediti: ATACAMA LARGE MILLIMETER/SUBMILLIMETER ARRAY (ALMA)Un gruppo di astrofisici dell’Università di Toronto hanno rivisitato una famosa immagine del cosmo, scoprendo che gli spazi vuoti nel disco di polvere e gas attorno alla giovane stella HL Tau sono in realtà pianeti in via di formazione. Il team di esperti è guidato da Daniel Tamayo. «Questa immagine di HL Tau probabilmente rappresenta la prima scattata per studiare le fasi iniziali della formazione dei pianeti», ha detto Tamayo. «Questo potrebbe essere un enorme passo in avanti nella nostra capacità di capire come si formano i pianeti». Questa famosa immagine è stata scattata nell’ottobre 2014 (Clicca QUI per leggere l’articolo su Media INAF) da ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), che ha mostrato dettagli straordinari e mai visti prima nel disco protoplanetario. Questa che vedete è una delle prime osservazioni realizzate da ALMA nella sua configurazione quasi finale e una delle immagini più nitide mai realizzate a lunghezze d’onda submillimetriche. La sua pubblicazione ha creato un animato dibattito nella comunità scientifica. Inizialmente era stato già ipotizzato che gli spazi vuoti potessero indicare la presenza di pianeti in via di formazione, ma molti erano scettici. Per alcuni, questi cerchi concentrici più scuri (quindi “vuoti”) non potevano contenere pianeti perché troppo vicini gli uni agli altri. I pianeti – secondo questa ipotesi – sarebbero stati espulsi per effetto della forza di gravità. Lo studio portato avanti dal team canadese ha sostenuto, invece, la teoria della formazione planetaria, perché questi spazi vuoti sarebbero tenuti separati da quella che Tamayo chiama “una speciale configurazione di risonanza”: in poche parole questi pianeti prevengono eventuali collisioni violente grazie a specifici periodi orbitali mancandosi ogni volta di quel poco che basta per non scontrarsi. Per miliardi anni è accaduto qualcosa di simile tra Plutone e Nettuno, perché le loro orbite si incrociano ma i due pianeti non si toccano mai. Il sistema HL Tau ha meno di un milione di anni, a un raggio di circa 17,9 miliardi di chilometri e si trova a 450 anni luce dalla Terra nella costellazione del Toro. Già nel 2014 i ricercatori avevano affermato che il disco di HL Tauri fosse molto più sviluppato di quello che ci si aspettava data l’età del sistema. Così, l’immagine di ALMA aveva già suggerito che il processo di formazione dei pianeti fosse più veloce di quanto previsto. Dal momento che giovani sistemi come HL Tau sono avvolti da una fitta nube di gas e polvere, e quindi non possono essere osservati con la luce visibile, viene in soccorso proprio ALMA utilizzando una serie di radiotelescopi situati a 15 chilometri di distanza che utilizzano lunghezze d’onda molto più lunghe. «Abbiamo scoperto migliaia di pianeti attorno ad altre stelle ed è sorprendente che molte delle orbite sono molto più ellittiche di quelle trovate nel nostro Sistema solare», ha spiegato Tamayo. E in futuro si scoprirà molto di più sui pianeti extrasolari proprio grazie ad ALMA. Per adesso, proprio perché giovane, il sistema HL Tau rimane relativamente stabile, ma Tamayo crede che nel corso di miliardi di anni, esso diventerà una sorta di “bomba a orologeria”: alla fine i pianeti si disperderanno, molti verranno espulsi violentemente lasciando gli altri corpi su orbite ellittiche simili a quelle trovate attorno a stelle più anziane. Questo processo “esplosivo” non sembra essersi verificato nel nostro Sistema solare, e in futuro gli esperti riusciranno a capire se sia tipico anche di altri sistemi o no. Magari siamo davvero speciali come crediamo! HL Tau nasconde davvero dei pianeti « MEDIA INAF
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Post by frankytop on May 12, 2015 21:39:56 GMT 1
L’esopianeta più vicino fotografatoUn gruppo spagnolo ha fotografato un superGiove attorno a una stella nana rossa a soli 40 anni luce di distanza, l’esopianeta più vicino alla Terra di cui sia stata ottenuta sia un’immagine che uno spettroRappresentazione artistica del pianeta VHS 1256b con la sua stella nana rossa sullo sfondo. Crediti: Gabriel Pérez – SMM (IAC)Uno studio appena pubblicato su The Astrophysical Journal, condotto dall’Istituto di Astrofisica delle Canarie (IAC) e da altri centri di ricerca spagnoli, racconta la scoperta di un pianeta gigante, di circa 11 volte la massa di Giove, che orbita attorno a una nana rossa a soli 40 anni luce di distanza da noi. Si tratta dell’esopianeta più vicino alla Terra per cui sia stata ottenuta sia un’immagine che uno spettro. Attualmente sono noti molti pianeti extrasolari, di cui la maggior parte sono stati scoperti utilizzando metodi indiretti, come lo studio delle variazioni nelle velocità radiali delle loro stelle madri, oppure delle variazioni di luminosità durante i transiti planetari davanti alla stella. Molti di questi pianeti sono giganti gassosi che, orbitando attorno a stelle relativamente lontane dal Sole, sono molto difficili da rilevare. In effetti, esistono ancora un numero limitato di fotografie che ritraggano dal vero questi cugini extrasolari. Un’eventualità che per l’esopianeta denominato VHS 1256b si è presentata appena “venuto alla luce”, cioè nel momento della sua scoperta da parte degli astronomi. Questo super-Giove orbita attorno a una stella nana rossa ad una distanza di circa 100 Unità Astronomiche, ovvero 100 volte volte la distanza tra la Terra e il Sole. Per avere un’idea, questo significa che VHS 1256b si trova circa 20 volte più distante dalla stella madre di quanto lo sia Giove dal Sole, e due volte e mezzo rispetto a Plutone. Si tratta di un giovane sistema stellare, con un’età compresa tra i 150 ei 300 milioni di anni, tra le 15 e le 30 volte più giovane del nostro Sistema Solare. Secondo gli scienziati, VHS 1256b ha un aspetto simile a quello che Giove probabilmente presentava al momento della sua formazione, circa 4.200 milioni di anni fa. La relativa vicinanza del sistema alla Terra rende questo esopianeta uno dei più brillanti rilevati finora e, grazie proprio alla grande separazione tra VHS 1256b e la stella madre, è stato possibile osservarlo e studiarlo in grande dettaglio. Riquadro a sx: immagine della stella nana VHS 1256 e del pianeta distante 100 Unità Astronomiche, ottenuta dal telescopio VISTA dell’ESO. A dx: spettri ottico e infrarosso ottenuti con i telescopi GTC, alle Canarie, e NTT in Cile. Crediti: Gabriel Pérez, SMM (IAC)«È un pianeta gigante gassoso con una dimensione simile a quella di Giove, ma 11 volte più massiccio. Siccome è giovane, la sua atmosfera è ancora relativamente calda, intorno ai 1.200° C, ed è ancora sufficientemente luminosa da poter essere rilevata con il telescopio VISTA dell’ESO», spiega Bartosz Gauza, ricercatore IAC d’origine polacca che ha apposto la prima firma sullo studio. VHS 1256b ha un’intensa colorazione rossa se misurato nelle lunghezze d’onda del vicino infrarosso, dove emette la maggior parte della sua luce, e la sua atmosfera presenta caratteristiche peculiari che possono renderlo un punto di riferimento per la ricerca futura. «Nella sua atmosfera», commenta Victor Sánchez Béjar, un altro ricercatore dello IAC coinvolto nello studio, «abbiamo trovato tracce di vapore acqueo e di metalli alcalini, normali per questo tipo di pianeti, ma non di metano, che pure sarebbe previsto a queste temperature. Grazie alla sua giovinezza e vicinanza, siamo stati in grado di ottenere per la prima volta in dettaglio lo spettro di un pianeta extrasolare nelle lunghezze d’onda del visibile, utilizzando il Gran Telescopio CANARIAS (GTC) con lo strumento OSIRIS». Il GTC, Gran Telescopio CANARIAS, è ubicato a 2.400 metri di altitudine nell’isola di La Palma, alle Canarie. Crediti: IAC / Pablo Bonet.Poiché è luminoso e ampiamente separato dalla sua stella, il pianeta VHS 1256b può essere osservato in lungo tutta la gamma spettrale, dalle onde radio e millimetriche fino ai raggi X. Questa caratteristica peculiare può permettere di rivelare fenomeni assai difficili, se non impossibili, da misurare per altri sistemi planetari, come impatti di comete o la presenza di lune dalle dimensioni paragonabili alla Terra. Il nuovo gigante gassoso è stato trovato correlando due grandi basi di dati: la Two Micron All Sky Survey (2MASS), catalogo che copre il cielo nell’infrarosso, e il VISTA Hemisphere Survey (VHS), uno studio di tutto il cielo visibile dall’emisfero sud, anche nell’infrarosso, attualmente in corso con il telescopio VISTA dell’ESO. «Questo studio è stato possibile», precisa Antonio Pérez-Garrido dell’Università Politecnica di Cartagena, «grazie alle tecniche software che abbiamo sviluppato nel nostro gruppo, che ci hanno permesso di selezionare, tra decine di milioni di sorgenti, quelle che si muovono nel cielo, estraendo poi quelle che presentano un compagno. In questo caso, un pianeta che orbita una nana rossa con un moto proprio comune». «Lo studio della nana rossa, una stella sulla linea di confine tra stelle di piccola massa e lnane brune, ci ha permesso di determinare la distanza e l’età del sistema con grande precisione, facendo di VHS 1256b uno dei pochi pianeti extrasolari per il quale tali parametri siano noti», conclude Maria Rosa Zapatero Osorio, del Centro di Astrobiologia (CAB), co-autorice dello studio. Animazione artistica dell’esopianeta VHS 1256b con la sua stella nana rossa sullo sfondo. Crediti: IAC / Gabriel Pérez – SMM (IAC) MEDIA INAF
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Post by frankytop on May 12, 2015 21:42:09 GMT 1
Missilistica, ULA presenta il VulcanLa partnership fra Boeing e Lockheed Martin ha svelato lo scorso 13 aprile un ambizioso piano che porterà alla sostituzione del vettore Atlas 5 attraverso tre fasi intermedie. Si inizierà con un nuovo primo stadio, seguito da un secondo ed infine dalla possibilità di riutilizzare i motori, che verranno recuperati con un sistema decisamente innovativo. Il programma nasce per essere competitivo con il Falcon 9 di SpaceX: una sfida ambiziosa, considerando che comporta un impegno finanziario e tecnologico per nove anni. Al proposito Tory Bruno, presidente ed Amministratore Delegato di ULA, non ha voluto specificare i costi precisi stimati, ma si è limitato a dire che, tipicamente, lo sviluppo di un nuovo razzo costa circa due miliardi di dollari, di cui la metà per il motore. Non è escluso che ULA possa approfittare di eventuali finanziamenti statali che potessero rendersi disponibili. Nel frattempo, LM e Boeing rinunceranno a parte dei profitti generati da ULA per finanziare il progetto Vulcan. La prima fase prevista è la produzione di un nuovo primo stadio propulso dal motore BE-4 a metano fornito da Blue Origin, oppure dall’AR-1 di Aerojet Rocketdyne, qualora il motore di Blue Origin dovesse incontrare rallentamenti nello sviluppo.Per questo motivo, ULA avvierà due diversi processi di certificazione del razzo con l’USAF, uno per ogni motore, in modo da coprire ogni eventualità e poter accedere al mercato delle forniture militari. La decisione finale sul motore da usare nel primo stadio verrà presa entro il 2016. Il secondo stadio del Vulcan, il cui debutto è previsto intorno al 2019, sarà costituito inizialmente dallo stesso stadio superiore Centaur e dal medesimo fairing attualmente in uso su Atlas 5. Il diametro della protezione aerodinamica potrebbe raggiungere i 5 metri. E’ prevista la possibilità di aggiungere sino a 6 boosters a propellente solido, arrivando così ad un potenziale superiore a quello di Atlas 5 ma comunque inferiore a quello del Delta 4 Heavy. Verosimilmente, i boosters saranno forniti da Orbital ATK o Aerojet Rocketdyne. La fase due del programma Vulcan vedrà l’introduzione di un nuovo stadio superiore, denominato ACES (Advanced Cryogenic Evolved Stage), in grado di restare nello spazio anche per settimane. ACES incrementerà fortemente le prestazioni del Vulcan, con un serbatoio stabilizzato a pressione e da uno a quattro motori criogenici, in base al profilo di missione. In questo caso, i motori candidati sono una nuova versione dell’RL10 di Aerojet Rocketdyne (in uso su Atlas 5 e Dleta 4), il BE-3 di Blue Origin oppure un motore sviluppato in cooperazione con XCOR Aerospace. ACES dovrà offrire accensioni “quasi illimitate” nell’arco di molte settimane; lo stadio ad ossigeno ed idrogeno liquidi riciclerà il carburante che andrebbe in ebollizione e lo userà per il controllo di assetto e per la produzione di energia elettrica. In questo modo si eliminerà la necessità di portare a bordo idrazina ed elio liquido. La possibilità di restare a lungo in orbita con accensioni multiple dovrebbe creare, secondo ULA, un nuovo tipo di missione, chiamato “lanci distribuiti”, e basato sul rendez-vous orbitale di molteplici stadi ACES con diversi carichi paganti. Quando il nuovo ACES sostituirà il Centaur come secondo stadio di Vulcan, il vettore avrà una capacità di carico del 30% superiore a quella del Delta 4 Heavy. La terza fase dello sviluppo di Vulcan è quella forse più fantasiosa. Lo scopo è quello di recuperare i motori del primo stadio. Per fare ciò, essi verranno sganciati dal serbatoio dopo lo spegnimento, rientrando nell’atmosfera protetti da uno scudo termico gonfiabile che rallenterà la velocità di discesa. Entreranno poi in funzione dei paracadute direzionali per ridurre ulteriormente la velocità e consentire ad un elicottero da trasporto di agganciarli a mezz’aria. Il riutilizzo dei motori consentirà un risparmio di oltre il 60% sul costo di ogni razzo. I recuperi dovrebbero iniziare entro il 2024. La tecnologia è stata denominata SMART (Sensible Modular Autonomous Return Technology). Di seguito presentiamo una panoramica di immagini rilasciate da ULA che illustrano nei dettagli il programma Vulcan (credit/copyright ULA). ULA presenta il Vulcan - AstronautiNEWS
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Post by frankytop on May 12, 2015 21:44:01 GMT 1
Osservati interamente nuovi cicli “stagionali” del SoleMosaico di 25 immagini di SDO che ricoprono un arco temporale di un anno, dall'Aprile 2012 all'Aprile 2013. L'immagine mostra la migrazione di materia magnetizzata verso l'equatore, avvenuta durante il periodo considerato. Credit: NASA/SDO/GoddardIl nostro Sole è costantemente coinvolto in processi di cambiamento ed attività variabili – da periodi di relativa calma a periodi di frequenti esplosioni superficiali – che raggiungono un picco all'incirca ogni 11 anni. Una nuova ricerca mostra, oltre a questo ciclo più evidente, uno minore la cui attività presenta una periodicità di 330 giorni. Le variazioni quasi annuali del “tempo atmosferico nello spazio”, caratterizzato da venti solari generati da emissioni violente della nostra stella, sembrano essere guidate da cambiamenti nelle bande del campo magnetico, presenti in entrambi gli emisferi solari. Il nuovo studio, condotto presso lo High Altitude Observatory of the National Center for Atmospheric Research di Boulder, Colorado, ha come scopo quello di esaminare le cause delle bande magnetiche ed in che modo queste influenzano i cicli solari. Il team di ricerca, diretto da Scott McIntosh, ha individuato le bande attingendo dai dati di un campione di satelliti ed osservatori terrestri specializzati nell'osservazione del Sole e delle sue emissioni – dalle particelle che compongono i venti solari fino alle esplosioni maggiori quali flares o espulsioni di massa coronale. Bande di materiale solare magnetizzato si muovono dai poli verso l'equatore, in un ciclo che dura circa 330 giorni. Credit: S. McIntoshL'interazione delle bande magnetiche può anche aiutare a spiegare un puzzle scoperto negli anni '60: come mai si ha un numero di flares solari più potenti e picchi dati dall'espulsione di massa coronale circa un anno (o più) dopo la comparsa del numero massimo di macchie solari? Questo ritardo è conosciuto come Gnevyshev Gap (intervallo Gnevyshev), dallo scienziato sovietico che per primo ha notato questo schema. La risposta a questo fenomeno dipende dall'attività delle bande: il fatto di avere una banda per ciascun emisfero permette loro di mischiarsi – il campo magnetico di una delle due fluisce nell'altra – creando regioni attive più instabili e portando a più eventi di flares ed espulsioni di massa coronale. Effettuando l'analisi sull'interazione delle bande gli scienziati hanno notato che le bande stesse sono sottoposte a variazioni quasi annuali, che si manifestano separatamente in entrambi gli emisferi, e che possono arrivare ad avere magnitudini più elevate di quelle più familiari che si presentano in un ciclo di 11 anni in media, dando risalto alla comparsa di “stagioni delle tempeste”. Giulia Murtas Osservati Interamente Nuovi Cicli
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Post by frankytop on May 12, 2015 21:49:09 GMT 1
L'età della Luna svelata da antichi meteoritiIl nostro satellite, nato da una collisione fra la Terra primigenia e un proto-pianeta, si formò appena 105 milioni di anni dopo la nascita del sistema solare. La datazione corrisponde a quella degli antichi meteoriti che portano le tracce dell'immane catastrofe, identificati grazie a una revisione dei modelli dell'impattoLa Luna è nata 4,48 miliardi di anni fa, appena 105 milioni di anni dopo l'inizio della formazione del sistema solare. La datazione è stata ottenuta grazie a un'innovativa analisi dei meteoriti che portano le tracce del catastrofico impatto fra la proto-Terra e un proto-pianeta delle dimensioni di Marte, che diede origine al sistema Terra-Luna che conosciamo oggi. La ricerca è di un gruppo di studiosi del Southwest Research Institute a Boulder, delle Università dell'Arizona e delle Hawaii e dell'Università Carolina di Praga, che firmano un articolo pubblicato su “Science”. Gli scienziati hanno a lungo cercato di definire con precisione l'età della Luna analizzando i più antichi campioni lunari tra quelli portati sulla Terra dagli astronauti delle missioni Apollo, ma senza trovare un accordo su quali dei radioisotopi utilizzabili fossero i più adatti per una datazione affidabile: le stime variano da un minimo di circa 30 milioni di anni a un massimo di 200 milioni dall'inizio del processo di formazione del sistema solare. Un frammento del meteorite caduto a Chelyabinsk, in Russia, il 15 febbraio 2013. Si nota la fitta rete di venature (linee scure) prodotte dalla fusione della roccia durante l'impatto. (Cortesia Qingzhu Yin, University of California, Davis)I modelli dell'impatto indicano inoltre che non creò solamente l'anello di frammenti che avrebbe formato la Luna, ma anche una grandissima quantità di detriti poi dispersi nello spazio. Il destino di tutto questo materiale, corrispondente a qualche punto percentuale della massa della Terra (il valore varia a seconda del modello considerato) non era però mai stato analizzato con attenzione. Le simulazioni condotte ora da W. F. Bottke e colleghi suggeriscono che almeno 10 miliardi di corpi di dimensioni pari o superiori al chilometro devono essere stati scaraventati al di fuori della sfera gravitazionale della Terra arrivando fino alla fascia degli asteroidi in formazione. La collisione di questi detriti con gli asteroidi – hanno ragionato i ricercatori – può aver prodotto piogge di meteoriti, alcuni dei quali sono ricaduti anche sul nostro pianeta, portando le tracce dell'impatto all'origine della Luna. Alcuni dei bolidi provenienti dalla collisione fra la Terra e il proto-pianeta, infatti, devono avere colpito gli asteroidi a una velocità di circa 10 chilometri al secondo, sufficiente a causare la fusione e la trasformazione dei minerali degli asteroidi in materiali vetrosi più scuri. Uno shock termico di questo tipo modifica “l'orologio” radioisotopico standard usato per datare i meteoriti: l'isotopo radioattivo del potassio che, intrappolato nella struttura cristallina della roccia, decade progressivamente in argon. "Se però l'argon viene riscaldato a sufficienza – spiega Tim Swindle, uno degli autori della ricerca - si muove attraverso le strutture cristalline, e si può reimpostare l'orologio", dando un punto di riferimento per calcolare quando ciò è avvenuto. I ricercatori hanno identificato 34 meteoriti tra quelli censiti nella letteratura scientifica, che recavano i segni di quello shock termico. La loro età si distribuisce in un ristretto arco di tempo attorno a 105 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare e sei di essi risalgono esattamente a quella data. Il metodo adottato da Bottke e colleghi è stato valutato affidabile e ingegnoso da altri planetologi non coinvolti nello studio, anche se il campione di meteoriti superstiti del grande impatto di cui oggi si dispone è un po' piccolo per poter affermare che la datazione ottenuta sia definitiva. L'età della Luna svelata da antichi meteoriti - Le Scienze
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Post by eglio on May 13, 2015 12:02:42 GMT 1
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Post by eglio on May 17, 2015 14:59:36 GMT 1
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Post by frankytop on May 17, 2015 22:04:29 GMT 1
Le radiazioni assorbite si accumulano e pure l'osteoporosi avanza..... Fossi in lei, se una volta tornata a terra decidesse di figliare, farei un controllo al feto ogni settimana.... cmq il razzo proton non c'entra nulla con le soyuz adibite al trasporto passeggeri.
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eglio
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Post by eglio on May 21, 2015 10:49:13 GMT 1
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Post by frankytop on May 21, 2015 12:43:41 GMT 1
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Post by frankytop on May 23, 2015 19:45:15 GMT 1
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Post by frankytop on May 23, 2015 19:47:15 GMT 1
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Post by frankytop on May 23, 2015 19:48:35 GMT 1
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Post by frankytop on May 28, 2015 22:54:54 GMT 1
Spiraleggiando verso CererePubblicate le ultime immagini di Dawn a Cerere prima dell'inizio della nuova fase di Survey, a inizio giugno, durante la quale la sonda della NASA, con lo strumento VIR dell'INAF, mapperà da vicino il pianeta nano. Il commento di Maria Cristina De Sanctis, PI di VIR In questo esatto momento, Dawn sta silenziosamente spiraleggiando verso una nuova orbita intorno a Cerere che raggiungerà solo a inizio Giugno. Al momento, gli strumenti tacciono. Ma il team a Terra – con il ritardo tecnico classico dell’esplorazione spaziale – è occupato a ricevere, analizzare e diffondere le ultime immagini scattate prima dello spegnimento e l’inizio dell’ultima fase della navigazione. Queste foto sono state scattate tra il 22 e il 23 Maggio per scopi di navigazione, ma rivelano già i primi promettenti panorami di quello che possiamo considerare un piccolo pianeta tutto da scoprire. L’ultima immagine di Cerere realizzata da Dawn prima dell’inizio della fase di Survey a inizio Giugno. Crediti : NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDAL’immagine pubblicata oggi dalla NASA mostra nel riquadro una zona di Cerere localizzata a una latitudine tra 13 e 59 gradi nord e a longitudine tra 182 e 228 gradi est. Per identifcare la zona, l’immagine è stata proiettata su una mappa globale di Cerere realizzata in precedenza. La fotografia è stata acquisita dalla camera il 23 di Maggio da una distanza di 5100 km, con una risoluzione a terra di 480 metri per singolo pixel e mostra con estrema chiarezza un grande cratere da impatto, contornato da una serie di crateri secondari causati dai detriti dell’impatto principale. Poco dopo aver trasmesso questi dati, Dawn ha riacceso i suoi motori a ioni per avviarsi verso la nuova orbita di survey, orbita di mappatura, che verrà raggiunta solo il 3 giugno. Fino a fine giugno Dawn rimarrà in questa nuova fase ad osservare Cerere da una distanza di appena 4400 km, compiendo un giro del pianeta nano ogni 3 giorni terrestri. In tre settimane, la sonda potrà realizzare ben sette rivoluzioni complete, fornendo una mappatura totale del corpo a una risoluzione mai raggiunta. Maria Cristina De Sanctis, dell’INAF-IAPS e PI di VIR, lo spettrometro italiano fornito da ASI sotto la guida scientifica dell’INAF, racconta i prossimi step: «La fase di survey in cui ci troveremo nel prossimo mese è una fase cruciale anche per le osservazioni di VIR. Infatti in questa fase, che dura circa un mese, si dovrebbe mappare quasi tutta la superficie. Le fasi successive, invece, permetteranno di andare a risoluzioni spaziali più elevate ma a discapito della copertura, che non sarà più completa. I dati acquisiti verrano poi elaborati nei prossimi mesi e richiederanno una analisi dettagliata e precisa da parte del team. Una analisi che necessita di tempi a volte lunghi. Ad esempio i dati acquisiti da VIR durante la fase di osservazione di Vesta (n.d.r da Maggio 2011 a Settembre 2012) sono tuttora analizzati e stanno dando ottimi risultati. Tra questi una serie di nuovi articoli sulla mineralogia di Vesta, in pubblicazione in questi giorni su uno special issue di Icarus». Spiraleggiando verso Cerere « MEDIA INAF
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Post by frankytop on Jun 3, 2015 13:02:20 GMT 1
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Post by frankytop on Jun 5, 2015 21:34:15 GMT 1
New Horizons, prossimamente su PlutoneLo strano caso delle piccole lune di PlutoneLe quattro piccole lune che orbitano attorno a Plutone e alla sua luna maggiore, Caronte, esibiscono caratteristiche del tutto singolari: ruotano su se stesse in modo caotico, si muovono su orbite eccezionalmente ravvicinate, e sembrano avere origini diverse. I dati che la sonda New Horizons raccoglierà nel suo incontro ravvicinato con Plutone il prossimo luglio potrà forse chiarire il meccanismo di formazione di questo strano sistemaLe quattro piccole lune che orbitano intorno a Plutone e alla sua luna più grande, Caronte, hanno caratteristiche orbitali, moti di rivoluzione e proprietà di superficie molto insolite, il cui studio potrà contribuire a chiarire il meccanismo di formazione sia del piccolo sistema binario Plutone-Caronte, sia più in generale del sistema solare. Il sistema di Plutone ripreso da Hubble. (Cortesia NASA, ESA, H. Weaver (JHU/APL), A. Stern (SwRI), and the HST Pluto Companion Search Team)Negli ultimi dieci anni, le immagini dal telescopio spaziale Hubble (HST) hanno rivelato quattro minuscoli satelliti - Styx, Nix, Hydra e Kerberos (o Stige, Notte, Idra e Cerbero) - con periodi orbitali di 20-40 giorni attorno al sistema binario. L'analisi di tutte le immagini riprese nel corso di questi anni ha permesso a M. R. Showalter del SETI institute e a D. P. Hamilton dell'Università del Maryland - di stabilirne le orbite, di confermare che le 4 lune si muovono su orbite molto ravvicinate, e di scoprire - come illustrato in un articolo pubblicato su “Nature” - che questo dà origine a un raro fenomeno di “risonanza orbitale”. Le interazioni dovute alle orbite ravvicinate determinano inoltre un altro singolarissimo fenomeno sulle piccole lune: la loro rotazione non è regolare e stabile ma caotica (si veda il video). Secondo le attuali teorie di formazione dei sistemi planetari, pianeti e satelliti iniziano come piccoli “semi” di condensazione in un disco di gas e polveri che circonda la stella (o il pianeta). I modelli di accrescimento di questi protopianeti e protosatelliti prevedano che alla fine essi si collochino su orbite ben distanziate: orbite ravvicinate - come quelle dei quattro satelliti – farebbero sì che nessun altro corpo celeste di dimensioni superiori a quelle delle polveri potrebbe inserirsi fra loro su orbite stabili. Ciò porta a ipotizzare che il sistema Plutone-Caronte sia il prodotto di un gigantesco impatto in cui un proto-Caronte si è scontrato con un proto-Plutone per formare il sistema binario, circondato da una nube di detriti, alcuni dei quali avrebbero formato nuove lune che si sono affiancate ad altre preesistenti. Questo processo, dicono i ricercatori, potrebbe anche spiegare una singolare regolarità osservata: Stige, Nix, Kerberos e Hydra viaggiano su orbite con periodi orbitali pari rispettivamente a circa 3, 4, 5 e 6 volte quello di Caronte. Inoltre, in questo complesso sistema Showalter e Hamilton hanno rilevato un fenomeno di risonanza orbitale a 3, ossia il cosiddetto periodo sinodico di Styx e Nix (il lasso di tempo fra le fasi orbitali in cui le due lune sono allineate dallo stesso lato del pianeta) è 1,5 volte il periodo sinodico di Nix e Hydra. Le dimensioni relative delle lune di Plutone. (Cortesia NASA, ESA, HST Pluto Companion Search Team)Per comprendere meglio questi processi saranno però necessarie misure più accurate delle orbite e delle masse di tutte le lune del sistema, anche se un punto a favore del modello proposto sembra venire dall'osservazione della riflettività delle lune. Allo stato attuale quella di Hydra e Nix (del 40 per cento circa) è simile a quella di Caronte (36-39 per cento ) e sembra più coerente con quella di satelliti adulti che con quella di frammenti da impatto. Kerberos invece è molto più scuro e con una riflettività del 4-6 per cento, osservano i ricercatori, sembra “fuori posto”, e si candida a essere un grande frammento da impatto. Dati cruciali per confermare questo modello possono venire da una migliore analisi della forma e della composizione delle lune, e molti di essi potrebbero essere disponibili molto presto grazie alla sonda New Horizons della NASA che il 14 luglio di quest'anno transiterà nelle vicinanze di Plutone. “Anche se Kerberos non sarà osservabile con una elevata risoluzione (2-3 chilometri per pixel) le immagini potranno comunque risolvere la questione se sia più scuro rispetto alle altre lune. E sarà possibile determinare molto bene riflettività e forma di Nix e Hydra.” Video,La rotazione caotica delle piccole lune di Plutone:La rotazione caotica delle piccole lune di Plutone - Le Scienze
La rotazione attorno al proprio asse di due delle piccole lune di Plutone, Nix e Hydra, non è regolare e costante come quella degli altri satelliti attorno ai loro pianeti, ma caotica. Ciò significa che la durata di una giornata su queste lune sarebbe diversa da quella precedente, ma anche che il Sole e il pianeta attorno a cui orbitano sorgerebbero a volte a oriente e a volte a occidente.
Il singolare fenomeno è dovuto alle interazioni gravitazionali fra le lune e il sistema doppio formato da Plutone e dalla sua luna più grande, Caronte, attorno a cui orbitano le quattro piccole lune Nix, Hydra, Styx e Kerberos. A produrre questo movimento imprevedibile concorre inoltre il fatto che le loro quattro orbite sono estremamente ravvicinate.
Secondo i ricercatori anche Styx e Kerberos hanno un moto rotatorio caotico, ma finora di queste due lune non sono state ottenute immagini con una risoluzione sufficiente elevata per poterlo stabilire.
Il video, realizzato montando e accelerando immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble, mostra il moto caotico di Nix.
Video cortesia NASA, ESA, M. Showalter (SETI Inst.), G. Bacon (STScI)
Lo strano caso delle piccole lune di Plutone - Le Scienze
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