eglio
8================D
Messaggi: 4,914
|
Post by eglio on Jun 16, 2015 16:47:16 GMT 1
|
|
|
Post by frankytop on Jun 20, 2015 15:49:52 GMT 1
Airbus costruira’ 900 satelliti per OneWebOneWeb LLC, una startup per la diffusione del servizio internet via satellite ha annunciato di aver affidato ad Airbus, quale primo appaltatore, la costruzione di 900 satelliti. Il primo di questi, con massa di circa 150 chili, verrà lanciato entro il 2018. Il rispetto della scadenza è importante in quanto OneWeb, che per motivi fiscali ha sede nelle British Channel Islands nella Manica, deve cominciare le proprie trasmissioni in banda Ku entro il 2019 per non perdere la licenza acquisita. L’accordo (non si tratta ancora di un contratto vero e proprio) prevede la selezione di un impianto che produca i satelliti negli USA. L’ordine complessivo riguarda circa 650 minisatelliti della costellazione principale, più un certo numero di elementi di riserva sia al suolo che in orbita. Airbus progetterà e realizzerà i primi dieci pezzi nello stabilimento di Tolone. Gli analisti del settore sono rimasti sorpresi dall’aggressività commerciale mostrata dal consorzio europeo nell’inseguire la commessa OneWeb; Airbus, dal canto suo, sostiene che la consolidata esperienza nella produzione in grande serie di veicoli complessi (aerei ed elicotteri) si dimostrerà un grande vantaggio nella gestione di questa commessa. Ai primi di giugno Airbus ha annunciato di aver costituito un fondo di venture capital nella Silicon Valley con un capitale iniziale di 150 milioni di dollari per investire in “imprese promettenti”, ma al momento non è chiaro se questo fondo giocherà qualche ruolo nella commessa OneWeb. Tornando a quest’ultima, i satelliti opereranno da una quota di circa 1200 chilometri in orbita quasi-polare; il Direttore dei Sistemi Spaziali di OneWeb Brian Holz ha affermato che l’intero sistema è stato concepito seguendo le direttive di riduzione dei detriti orbitanti, e che i satelliti nell’obita bassa rientreranno nell’atmosfera entro 25 anni dal termine delle attività: “Intendiamo avere molta cura dello spazio. Il deorbiting dei satelliti è stato un elemento fondamentale nella nostre scelte progettuali. Non vogliamo creare un mucchio di spazzatura”. OneWeb non ha reso noto l’importo dei finanziamenti che sono disponibili per la realizzazione del sistema; si sa solo che tra gli investitori compare Richard Branson con la sua Virgin, ed il produttore di chip Qualcomm, che verosimilmente progetterà i terminali utente per i clienti di OneWeb. Volendo fare due rapidi calcoli, possiamo moltiplicare 900 (il numero dei satelliti complessivamente da costruire), per 500mila dollari (il costo di produzione con gli impianti a regime, secondo OneWeb). Un canale di approvvigionamento di fondi potrebbe essere costituito dalle agenzie statali di sostegno all’export. COFACE, l’agenzia francese, difficilmente concederà fondi a fronte dell’esiguo numero di satelliti effettivamente realizzati sul suolo transaplino (10, come detto), mentre il destino della Export-Import Bank americana in questo momento è appeso ad un filo, o meglio alla volontà del Congresso di rifinanziarla entro il primo luglio per mantenerla in attività. In ogni caso, secondo Holz, sono disponibili altre fonti di finanziamento oltre a quelle citate. Di seguito, un filmato promozionale dell’accordo: Airbus costruira' 900 satelliti per OneWeb - AstronautiNEWS
|
|
eglio
8================D
Messaggi: 4,914
|
Post by eglio on Jun 23, 2015 14:27:57 GMT 1
|
|
|
Post by frankytop on Jun 24, 2015 13:20:33 GMT 1
|
|
|
Post by frankytop on Jun 24, 2015 13:21:44 GMT 1
On July 14th, NASA's New Horizons mission will make its closest approach to the Pluto system, completing the first reconnaissance of the Solar System, begun over 50 years ago by NASA. With the completion of the Pluto flyby by New Horizons next month, NASA will have completed successful missions to every planet in the Solar System from Mercury to Pluto. To celebrate, NSS commissioned a short video film called "New Horizons," which is being released today.National Space Society
|
|
|
Post by frankytop on Jun 26, 2015 23:08:31 GMT 1
Congiunzione Giove - VenereVicini, sempre più vicini, sin quasi a sfiorarsi. Giove e Venere sono in rotta di collisione (apparente) nella volta celeste e poco dopo il tramonto splendono come non mai. È una congiunzione spettacolare fra i due oggetti più luminosi del cielo dopo il Sole e la Luna, un fenomeno che raggiungerà il culmine martedì 30 giugno. Fenomeno visibile a occhio nudo Per ammirare i due pianeti basta guardare verso ovest nelle prime ore dopo il calare del Sole. Non servono telescopi o binocoli: si vedono chiaramente anche a occhio nudo. Venere è il più luminoso, Giove è quello un po’ meno brillante. Minima distanza il 30 giugno Giorno dopo giorno, i due corpi celesti si stanno avvicinando sempre più. Raggiungeranno la minima distanza il 30 giugno, quando saranno a 22 primi d’arco l’uno dall’altro. Giove e Venere "in rotta di collisione": spettacolare congiunzione in cielo - Rai News
|
|
|
Post by frankytop on Jun 27, 2015 20:35:04 GMT 1
Missilistica - ADELINE, la riutilizzabilità secondo Airbus Airbus, uno dei maggiori player europei e mondiali nelle tecnologie aerospaziali ha presentato un concept per lo sviluppo di un sistema di recupero dei propulsori del futuro lanciatore Europeo. La tendenza, come già dichiarato da SpaceX e ULA, è la volontà, almeno sulla carta, di riutilizzare in parte i lanciatori utilizzati per la messa in orbita di payload vari in modo da recuperare se possibile parte dei costi di produzione. SpaceX sta cercando di sviluppare un sistema per il recupero dell’intero primo stadio dei propri Falcon 9 utilizzando un rientro controllato dello stesso su “zampe”, ULA invece ha dichiarato che svilupperà un sistema per il rientro controllato, attraverso una vela, del solo gruppo propulsori recuperando quest’ultimo a mezz’aria attraverso un velivolo. Airbus invece è scesa in campo con un sistema che promette di recuperare, come ULA, la sola parte propulsori, quella cioè considerata di maggior valore, attraverso un sistema di ali e propulsori che permettano di fare atterrare questa parte su una normale pista. L’Advanced Expendable Launcher INnovative engine Economy, o appunto ADELINE, si prefigge di entrare in servizio per il 2025 e supportare quanto prima i clienti che sempre più spesso hanno come obiettivo la messa in orbita di costellazioni di centinaia o addirittura migliaia di satelliti. Una volta conclusa la normale parte del volo destinata ad accelerare il vettore fino ad esaurimento del propellente del primo stadio, il gruppo propulsivo si staccherebbe dal resto del primo stadio, composto quasi esclusivamente dai serbatoi di propellente, e a Mach 5 rientrerebbe in atmosfera protetto da uno scudo termico metallico controllando il proprio assetto attraverso delle piccole ali. Una volta raggiunta la velocità subsonica dalle ali verrebbero dispiegate delle piccole eliche che supporteranno il volo fino all’atterraggio su piccoli pattini. L’utilizzo di ADELINE è stato proposto per il futuro Ariane 6, previsto per il debutto intorno al 2020, ma utilizzando come propellente cherosene e ossigeno liquido può essere facilmente adattato a molti altri vettori su richiesta. “Dobbiamo essere pronti ad aumentare il nostro rateo di lanci e la massa immessa in orbita annualmente riducendo i costi” ha dichiarato Hervé Gilibert, Direttore tecnico di Airbus Space Systems, “i payload del futuro saranno più leggeri e più economici. Siamo probabilmente all’inizio di una grande evoluzione nel nostro business. Sono in arrivo enormi costellazioni che richiederanno un incremento enorme nel rateo di lanci”. Hervé Gilibert, durante la presentazione avvenuta al salone aerospaziale di Le Bourget appena concluso è passato poi ad un confronto diretto con quello che attualmente sembra essere il principale concorrente di Airbus, ovvero SpaceX con il sistema di riutilizzo del primo stadio del Falcon 9. Secondo Gilibert l’80% del costo del primo stadio è nella sua sezione propulsiva, considerando che questa può contenere interamente anche avionica e sistemi di controllo e il sistema ADELINE potrebbe portare ad una riduzione dei costi operativi del 30% comparato con gli attuali sistemi di lancio. Passando al confronto con SpaceX secondo Airbus il sistema sarà nettamente più economico e vantaggioso in quanto per far rientrare il primo stadio del Falcon 9 questo necessita di 44ton in più di propellente portando ad una riduzione del payload compresa fra il 30% e il 50% rispetto alla massima prestazione di un vettore completamente a perdere, ma l’implementazione di ADELINE su un vettore non peserà così tanto portando quindi ad avere una perdita di prestazione pura nettamente inferiore. Attualmente Airbus ha già brevettato diverse tecnologie utilizzate nel sistema ADELINE, come ad esempio il ripiegamento delle eliche, e i test in galleria del vento sono già stati effettuati da 6 a 8 mesi fa abbassando di molto il rischio di sviluppo del sistema. Attualmente sta volando un sistema in scala per i test di atterraggio. Ipotizzando un utilizzo del sistema dalla Guyana Francese per Ariane 6 i tempi di rimessa in servizio saranno molto brevi, con una manutenzione abbastanza limitata ai sistemi che potrà essere effettuata in loco. Nel video di seguito è possibile vedere il concept nel suo intero profilo di missione. ADELINE, la riutilizzabilità secondo Airbus - AstronautiNEWS
|
|
|
Post by frankytop on Jun 27, 2015 21:14:08 GMT 1
Notare Giove e Venere, ora:
|
|
eglio
8================D
Messaggi: 4,914
|
Post by eglio on Jun 27, 2015 21:42:20 GMT 1
grande Giove
|
|
|
Post by frankytop on Jun 27, 2015 21:50:50 GMT 1
Già comunque il pallino più luminoso è Venere.
|
|
|
Post by frankytop on Jun 28, 2015 23:08:56 GMT 1
L'è sciupà!
|
|
|
Post by frankytop on Jun 28, 2015 23:16:21 GMT 1
slow motion
e sala controllo
|
|
|
Post by frankytop on Jun 28, 2015 23:25:45 GMT 1
|
|
|
Post by frankytop on Jun 29, 2015 21:42:00 GMT 1
|
|
|
Post by frankytop on Jun 30, 2015 17:30:50 GMT 1
|
|
|
Post by frankytop on Jun 30, 2015 22:46:00 GMT 1
Giorno di massima vicinanza Venere - Giove.
|
|
eglio
8================D
Messaggi: 4,914
|
Post by eglio on Jul 2, 2015 13:49:35 GMT 1
|
|
|
Post by frankytop on Jul 2, 2015 23:08:14 GMT 1
Mancano ormai solo una decina di giorni all’incontro tra la sonda New Horizons e il sistema di Plutone. Nessuna nuova luna scoperta, ma nelle ultime immagini del pianeta nano suscitano curiosità delle grandi macchie scure molto regolari. Confermata la presenza di metano ghiacciato. di Stefano Parisini ‘All clear’, tutto libero sulla rotta della sonda New Horizons. Dopo sette settimane di attente ricerche per eventuali nugoli o anelli di polvere, piccole lune, o altri potenziali rischi che potessero danneggiare la navicella – per la quale, vista la velocità superiore ai 50.000 kilometri all’ora, una singola particella grande quanto un chicco di riso potrebbe essere letale –, il team della sonda NASA ha deciso che non era necessario deviare la traiettoria già prevista per raggiungere Plutone e le sue lune, da cui la sonda dista ora solo 15 milioni di kilometri. «Per la maggior parte di noi, non avere trovato nuove lune o anelli di polvere è stata un po’ una sorpresa dal punto di vista scientifico», ha dichiarato Alan Stern del Southwest Research Institute (SwRI), responsabile scientifico di New Horizons. «Comunque, c’è di buono che non abbiamo dovuto accendere i motori per stare alla larga da potenziali pericoli, ricevendo dalla NASA il ‘go’ per la migliore tra le traiettorie pianificate per l’incontro con Plutone». Stabilmente avviato verso la sua meta grazie a un’ultima, breve, accensione dei propulsori ordinata dal centro di controllo lo scorso 28 giugno, questo proiettile scientifico avrà il suo mezzogiorno di fuoco fra una decina di giorni, precisamente martedì 14 luglio 2015 alle 11:49:57 UTC. Immagine ottenuta dalla combinazione di diverse esposizioni della camera LORRI effettuate il 26 giugno 2014. Nessuna luna sconosciuta vi compare. Crediti: NASA/JHU-APL/SwRINelle ultime immagini valutate, ottenute con la fotocamera telescopica Long Range Reconnaissance Imager (LORRI), sono visibili Plutone e tutte le sue cinque lune conosciute, ma nessun anello, nessun corpo potenzialmente pericoloso. Se da una parte gli scienziati tirano un sospiro di sollievo, dall’altra rimane una punta di rammarico per non avere scoperto nessuna nuova luna da esaminare. Pazienza, «New Horizons ha già sei meravigliosi oggetti da analizzare in questo incredibile sistema», ha commentato John Spencer, sempre del Southwest Research Institute, a capo del gruppo di valutazione del rischio di New Horizons. Nel frattempo, il Sistema di Plutone diventa sempre più chiaro alla vista. In nuove immagini, ottenute dalla combinazione di immagini in bianco e nero con altre riprese a colori di più bassa risoluzione, il misterioso pianeta nano mostra di avere due facce piuttosto differenti.Una faccia presenta delle interessanti macchie scure, del diametro di circa 500 kilometri, uniformemente distribuite lungo la linea equatoriale. Questi spot hanno attirato la curiosità degli scienziati soprattutto a causa della loro apparente regolarità in quanto a dimensioni e spaziatura. Immagini a colori di Plutone e di Caronte ottenute componendo immagini in bianco e nero con riprese a più bassa definizione ma a colori. A sinistra, la faccia di Plutone che sarà visibile il giorno del fly-by. Nell’altra faccia, a destra, si notano delle macchie scure allineate sull’equatore. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute«Non abbiamo idea di cosa siano queste macchie. Naturalmente, non vediamo l’ora di scoprirlo», ha confessato Alan Stern. «Un altro fatto misterioso è la perdurante e considerevole differenza nei colori e nell’aspetto di Plutone rispetto alla sua più scuro e più grigia luna, Caronte». Lo spettrometro infrarosso Ralph di New Horizons ha rilevato metano su Plutone, indicato in rosa nell’immagine in falsi colori nel riquadro. Crediti: NASA/Johns Hopkins Applied Physics Laboratory/Southwest Research InstituteLe nuove immagini a colori, che raffigurano complessivamente circa la metà della superficie di Plutone, sono molto vicine a quello che vedrebbero gli occhi di un ipotetico passeggero terrestre a bordo di New Horizon. Il naso dello stesso passeggero comincerebbe invece a sentire odore di metano, ma solo ed esclusivamente affidandosi alle narici tecnologiche di Ralph, lo spettrometro infrarosso di cui è equipaggiato New Horizons. Proprio in questi giorni, infatti, Ralph ha rilevato la presenza di metano ghiacciato sulla superficie di Plutone. Al contrario di quello terrestre, si tratta di un metano primordiale, abiotico, proveniente dalla nube attorno al Sole da cui sono emerso i corpi del sistema solare, circa 4,5 miliardi di anni fa. «Sapevamo che doveva esserci metano su Plutone, ma questo è il nostro primo vero rilevamento», ha spiegato Will Grundy, del Lowell Observatory di Flagstaff. «Presto sapremo se ci sono differenze nella presenza di ghiaccio di metano tra una parte e l’altra di Plutone». Una delle soddisfazioni maggiori per gli scienziati di New Horizons sarà vedere l’alba. O, meglio, la luce solare che filtra attraverso l’atmosfera di Plutone. Nessun romanticismo: servirà per determinare la composizione atmosferica del pianeta nano. «Sarà come se dietro Plutone fosse piazzata una lampada da un milione di miliardi di watt», ha spiegato Randy Gladstone, ancora del Southwest Research Institute. Per prepararsi a questa unica, irripetibile, scena madre in controluce, gli scienziati responsabili di Alice – lo spettrografo ultravioletto a immagini a bordo di New Horizons che effettuerà l’osservazione – hanno puntato il loro strumento verso il remotissimo Sole. Il diagramma ottenuto servirà come metro di misura, per studiare quali molecole presenti nell’atmosfera di Plutone si interpongano nel flusso dei fotoni solari. Via libera: Plutone, sto arrivando! « MEDIA INAF
|
|
|
Post by frankytop on Jul 2, 2015 23:27:59 GMT 1
L’espansione cosmica verso il Big RipTre fisici della Vanderbilt University hanno introdotto una nuova formulazione matematica per trattare la dinamica dei fluidi relativistici. Lo studio, pubblicato su Physical Review D, ha delle implicazioni importanti per il destino ultimo dell’Universo e potrebbe far luce allo stesso tempo sulla natura dell’energia oscura. Anche se si tratta di un approccio promettente, occorrerà comunque un'analisi più approfondita per verificare o meno la veridicità dei risultati. di Corrado RuscicaL’Universo potrebbe essere un luogo alquanto “viscoso”, ma quanto viscoso è un problema dibattuto. Questo perché per decenni i cosmologi hanno affrontato una serie di difficoltà al fine di conciliare la classica nozione di viscosità basata sulle leggi della termodinamica con la teoria della relatività generale. Oggi, però, tre fisici della Vanderbilt University hanno introdotto una nuova formulazione matematica del problema che sembra ridurre questo divario. I risultati, pubblicati su Physical Review D, hanno delle implicazioni importanti per il destino ultimo dell’Universo in quanto tendono a favorire uno degli scenari cosmologici più radicali: stiamo parlando del “Big Rip“. Non solo, ma questo studio potrebbe far luce anche sul mistero dell’energia oscura. L’idea di approcciarsi a questo problema è stata sviluppata dal matematico Marcelo Disconzi in collaborazione con due colleghi fisici Thomas Kephart e Robert Scherrer. “Marcelo ha introdotto una formulazione matematica più semplice ed elegante, consistente con tutte le leggi della fisica”, dice Scherrer. Il tipo di viscosità di cui stiamo parlando, e che ha rilevanza cosmologica, è diverso da quello a noi più familiare ed è chiamato “viscosità di taglio” (si pensi al ketchup), una misura della resistenza di un fluido ad attraversare piccole aperture, come il collo di una bottiglia. Nel nostro caso, invece, si tratta di una forma di viscosità dilatazionale, che rappresenta il grado di resistenza di un fluido ad una espansione o contrazione. Il fatto che spesso non abbiamo a che fare con questo tipo di viscosità nella vita di tutti i giorni è dovuto al fatto che la maggior parte dei liquidi non possono essere troppo compressi o espansi. Disconzi ha iniziato ad affrontare il problema dei fluidi relativistici. Gli oggetti astrofisici che producono questo fenomeno sono tipicamente le esplosioni stellari (supernovae) e le stelle di neutroni (oggetti super densi e compatti che possono avere le dimensioni tipiche di un pianeta). Gli scienziati hanno ottenuto notevoli successi nel descrivere la dinamica di un fluido ideale, dove non c’è viscosità, quando viene accelerato fino a raggiungere velocità prossime a quella della luce. Ma in natura, quasi tutti i fluidi sono viscosi e, nonostante anni di sforzi teorici, nessuno ha affrontato il problema di trattare la dinamica dei fluidi viscosi quando si ha a che fare con velocità relativistiche. Nel passato, i modelli formulati per predire ciò che accade quando fluidi più realistici vengono accelerati fino a raggiungere qualche frazione della velocità della luce hanno dato una serie di incoerenze: ad esempio, quella più evidente riguarda la predizione che in certe condizioni questi fluidi potrebbero propagarsi addirittura con velocità superiori a quella della luce. «Ciò è assolutamente sbagliato», afferma Disconzi, «dato che è ben provato sperimentalmente che nulla può viaggiare più veloce della luce». Dunque, queste problematiche hanno ispirato lo scienziato a riformulare le equazioni della dinamica dei fluidi relativistici in modo che non si abbiano delle falle che portino a risultati in contrasto con la teoria della relatività speciale. Per far questo, Disconzi è partito dall’ipotesi avanzata negli anni ’50 dal matematico francese André Lichnerowicz e poi ha chiesto la collaborazione dei colleghi Kephart e Scherrer per applicare le sue equazioni ad una teoria cosmologica più generale. Ciò ha permesso di ottenere tutta una serie di risultati interessanti, tra cui alcuni nuovi, potenziali indizi sulla misteriosa energia oscura. Negli anni ’90, la comunità dei fisici rimase scioccata quando le misure astronomiche delle supernovae Ia più distanti mostrarono che l’Universo si sta espandendo ad un ritmo accelerato. Per spiegare questo fenomeno inaspettato, gli scienziati furono costretti ad ipotizzare l’esistenza di una forma sconosciuta di energia repulsiva che permea tutto lo spazio. Data la nostra ignoranza sulla sua natura, ad essa venne attribuito il termine “energia oscura”, in analogia con la “materia oscura” l’altro grande mistero della fisica moderna. Finora, le principali teorie sull’energia oscura non hanno preso in considerazione il problema della “viscosità cosmica”, nonostante il fatto che essa abbia un effetto repulsivo sorprendentemente simile a quello creato dall’energia oscura. «È possibile, anche se non è molto probabile, che la presenza di viscosità possa tener conto di tutti gli effetti dell’accelerazione attribuiti all’energia oscura», dice Disconzi. «È molto più probabile che una frazione significativa dell’effetto dell’accelerazione dello spazio possa essere dovuto ad una causa più diretta. In altre parole, la stessa viscosità potrebbe rappresentare un vincolo importante alle proprietà dell’energia oscura». L’immagine illustra lo scenario detto Big Rip. Credit: Jeremy Teaford / VanderbiltUn altro risultato interessante riguarda il destino ultimo dell’Universo. Dalla scoperta dell’espansione accelerata, i cosmologi hanno ipotizzato un certo numero di scenari per tentare di descrivere l’evoluzione futura dell’espansione cosmica. Uno di questi, chiamato “Big Freeze” (il grande gelo), predice che dopo circa 100 mila miliardi di anni l’Universo sarà diventato talmente grande che i rifornimenti di gas necessari per formare le stelle si saranno esauriti da molto tempo. Le stelle si spegneranno gradualmente, lasciandosi dietro solo buchi neri che, a loro volta, evaporeranno lentamente man mano che lo spazio diventerà sempre più freddo. Ma uno scenario ancora più drammatico è detto “Big Rip” (il grande strappo). Esso si basa sugli effetti dovuti all’energia oscura che diventa sempre più importante nel corso del tempo. In questo caso, il tasso di espansione dell’Universo diventerà così elevato che dopo poco più di 20 miliardi di anni tutta la materia inizierà a disgregarsi e, a loro volta, anche gli atomi si separeranno nei loro costituenti fondamentali lasciandosi dietro solo particelle elementari e radiazione. La chiave fondamentale che entra in gioco in quest’ultimo scenario è il rapporto tra la pressione e la densità dell’energia oscura, cioè il parametro della sua equazione di stato. Se questo valore diventa minore di -1 allora l’Universo finirà per disgregarsi completamente. Gli scienziati hanno definito questo parametro come una sorta di “barriera fantasma”, ossia un limite che nei precedenti modelli con viscosità non può essere oltrepassato. Ad ogni modo, nella formulazione di Desconzi-Kephart-Scherrer questo limite non esiste. Invece, questa barriera fornisce al parametro dell’equazione di stato un modo naturale di assumere valori minori di -1. «Nei precedenti modelli cosmologici con viscosità, il Big Rip non era possibile», aggiunge Scherrer. «Ma nel nostro modello, è proprio la viscosità che guida l’evoluzione dell’Universo verso uno stato finale estremo». Insomma, secondo gli autori, i risultati di questa nuova formulazione matematica nel caso di viscosità relativistiche sono molto promettenti anche se occorrerà uno studio più approfondito per verificare o meno la loro veridicità. L’unico modo di fare questo sarà quello di utilizzare calcolatori potenti per analizzare numericamente equazioni complesse. In questo modo, gli scienziati saranno in grado di fare delle previsioni che potranno essere confrontate con gli esperimenti ed eventualmente le osservazioni. Physical Review D: Marcelo M. Disconzi, Thomas W. Kephart & Robert J. Scherrer, 2015 – New Approach to Cosmological Bulk Viscosity arXiv: A New Approach to Cosmological Bulk Viscosity L’espansione cosmica verso il Big Rip « MEDIA INAF
|
|
eglio
8================D
Messaggi: 4,914
|
Post by eglio on Jul 3, 2015 6:11:24 GMT 1
|
|